Trarre spunti da chi vive la propria esperienza professionale in modo diverso da noi è importante... e se questo fosse il giovane responsabile di una startup?
Scherzando ho già dichiarato che appena assumerò qualcuno degli anni 2000 chiederò un’indennità.
Purtroppo non è ancora successo, malgrado ormai gli ultimi diplomati siano ormai nati in quegli anni.
Ormai però non è tanto l’età che mi sconvolga, è quanto hanno costruito alcuni giovanissimi negli ultimi anni attraverso i loro progetti trasformati in start-up e successivamente in vere e proprie aziende con milioni di fatturato e centinaia di dipendenti.
Hanno brevi biografie su linkedin e twitter (non CV) che dicono “Born 2001, #30under30 @forbes 18yo #TedX speaker 14yo” oppure “I’m the CEO of Divisible Global, but nothing serious” che tradotto, per quanto mi riguarda, ti fa capire … che la prima regola è che chiunque può diventare quello che vuole.
Io che non ho molta autostima, mi sento una completa nullità, non posso negarlo.
Parte del loro tempo lo spendono ad “alfabetizzare” noi comuni mortali. Raccontandoci come hanno fatto, da dove sono partiti, che scogli (e ne hanno avuti molti e davvero scoraggianti) hanno incontrato e come li hanno superati. Siamo noi, aziende strutturate e “tradizionali” a chiamarli per intervenire ed aiutarci a pensare “out of the box” e a provare a disintegrare il detto “si è sempre fatto così” e la nostra resistenza al cambiamento.
Alcuni di questi piccoli fenomeni li ho conosciuti di persona ad alcuni incontri organizzati da varie aziende del settore utilities. Vanno veloci, velocissimi. Mantengono orgogliosamente i loro accenti di origine e si fanno ascoltare. Ti inchiodano con il racconto dei loro percorsi non privi di difficoltà, soprattutto in termini di comunicazione e credibilità, ricchi di lavoro, costanza e dedizione. Tengono testa a CEO e a superprofessionisti, sanno di cosa parlano, non sono improvvisati.
Hanno talento e lo alimentano con entusiasmo e duro lavoro.
Vogliono essere felici, vogliono un lavoro che renda felici, indipendentemente dal background e dalla provenienza.
Vogliono poi non essere più operativi (“ormai non programmo da mesi”, raccontano) per le loro aziende, ma occuparsi di formazione e/o alfabetizzazione o volontariato quasi a tempo pieno.
Hanno il mondo in mano, ma non sono arroganti e pensano sempre al risvolto sociale. Si pongono questioni importanti “sto costruendo algoritmi per far sì che quella manutenzione predittiva la faccia una macchina, cosa ne sarà dell’operaio specializzato che se ne occupava prima?”
Alla fine di quegli incontri abbiamo tutti gli sguardi sognanti e una serie di pensieri e in testa “che meraviglia” oppure “devo piazzare in mano il tablet e far fare un corso di coding ai miei figli” o ancora “beh, ma insomma sono geni!” e poi torniamo alle nostre aziende piene di processi e owner che non si prendono le loro responsabilità.
Io quando mi riprendo dal racconto entusiastico di questi ragazzi e ragazze e torno sulla Terra penso che sono davvero eccezionali (e reali), penso che vorrei il loro spirito imprenditoriale e la loro voglia di cambiamento, anche solo in minima parte, almeno in qualcuno dei nostri dipendenti e penso che le aziende dovrebbero dare spazio e tempo DAVVERO alle idee e allo sviluppo e concretizzazione delle stesse.
Forse già qualcuno di loro è vostro fornitore, cliente… credo non sarà un vostro dipendente.
Per quanto mi riguarda li vorrei tutti a bordo, ma a fare cosa? E dove? A capo di qualcosa? E a chi risponderebbero? Tutte le classiche domande da HR strutturata. Non cambierò mai.
Non ci siamo.
Al prossimo incontro devo chiedere come selezionano i loro dipendenti.
Ad ogni modo sono una parte di mondo del lavoro che mi affascina molto, di cui capisco qualcosa e vorrei sapere di più. Non li reputo un mondo a parte, sono una parte del presente. E del futuro chissà.
Bisogna tenere il passo, sempre più veloce.
Comunque la mia preferita è Valeria Cagnina, sappiatelo.
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